“Ripugnante come pochi”, scrive Hunter S. Thompson in questo suo lavoro del 1959, “in qualche rara occasione dimostrava lampi di intelligenza stagnante. Ma il suo cervello era così marcio per l’alcol e per quella vita dissoluta che quando cercava di avviarlo sembrava un vecchio motore ingolfato rimasto inzuppato troppo a lungo nel lardo.” Sorpresa: Thompson non sta scrivendo di se stesso! Uno dei più geniali e folli romanzieri/giornalisti americani descrive così la vita di un uomo di nome Moberg a Portorico, giornalista sconclusionato e stonato la cui più grande abilità sta nel riuscire a ritrovare la propria macchina dopo una serata di delirio etilico, grazie al cattivo odore dell’auto stessa più che al suo olfatto. In realtà, l’eroe, il protagonista di questo romanzo autobiografico, è il trentenne Paul Kemp. Intrappolato in un lavoro senza prospettive, sente il suo talento evaporare veloce come il rum versato in un pugno, e vede allontanarsi il sogno di emulare i suoi modelli, Hemingway e Fitzgerald. Thompson aveva 22 anni quando scrisse le “Cronache del rum” ma era terrorizzato di finire come Moberg. Lo salvò il fantastico incendio creativo degli anni Sessanta, quello che ispirò “Paura e disgusto a Las Vegas”, esordio di quello che sarebbe diventato il padre del “giornalismo gonzo”, il più pericoloso e irriverente scrittore della sua generazione.