Questo libro “svela” un tesoro: l’immaginario di Giuseppe Tornatore, l’humus da cui nascono i suoi film, e nello stesso momento in cui lo fa apparire “togliendo il velo” che lo nascondeva, lo salvaguarda dalla sparizione per tutti noi suoi spettatori. La porzione del suo mondo umano e poetico che in questo libro si dispiega, certo non esiste più – per dirla con Roland Barthes – ma la fotografia, che etimologicamente è “scrittura per mezzo della luce”, strappa le cose alle tenebre rendendole visibili és aéi – come dicevano gli antenati greci del siciliano Tornatore – cioè “per sempre”. Quest’arte infatti infinitizza gli istanti fissati nelle sue rappresentazioni statiche, certificando, nonostante la loro attuale assenza, la loro presenza costante nella nostra mente e nel nostro cuore. Prima del cinematografo, che per statuto si esprime con le immagini in movimento, e più di esso, la fotografia si inscrive inoltre nel registro di una verità maggiormente certificata, perché meno manipolabile: i suoi “fermo-immagine” sono incontrovertibili e sprigionano una forza evocativa che conferisce una sorta di valore aggiunto alle esperienze di spazio, di tempo e di vita in esse raffigurati. Ogni fotogramma inoltre include virtualmente un prima e un poi dello scatto istantaneo, che rinvia a un “fuori campo” evocato, la cui realtà non scompare, ma “appare” nelle forme emotive dell’allusione.