La qualità del perdono. Riflessioni sul teatro a partire da Shakespeare
Lingua: Italiano
Le regie di Peter Brook hanno trasformato, nel corso degli ultimi decenni, il modo di concepire Shakespeare e il suo teatro. Le illuminazioni del grande maestro inglese hanno, rischiarato e reso palpitanti moltissime delle pagine scritte dal più grande drammaturgo di tutti i tempi. Da “Re Giovanni” del 1945 fino al suo ultimo “Amleto” in francese, Brook non ha, mai smesso di scandagliare le profondità del genio di Stratford. Le sue esperienze di lavoro e dj passione, maturate in oltre un cinquantennio, si ritrovano distillate nelle riflessioni proposte in questo volume, piccolo solo nel formato, curato e tradotto in italiano da Pino Tierno. Un dramma di Shakespeare può racchiudere le esperienze di una vita intera. Il doloroso quanto necessario conflitto fra opposti è alla base dell’opera del Bardo. Ordine e Caos, Dentro e Fuori, Luce e Oscurità: sono solo alcune delle dicotomie ricorrenti nelle opere di Shakespeare. Non c’è impulso o sentimento umano che nelle sue opere non sia stato riflesso e analizzato. Fino ad arrivare a “La tempesta”, dove la qualità del perdono sembra trascendere e vivificare ogni nostra possibilità di comprensione.
“Il cinema, allora, era una grande famiglia, è vero. C’era un rapporto di comprensione, anche di affetto. Poi ci sentivamo tutti parte di una grande avventura, far rivivere sullo schermo la vita.” Proprio di “grande avventura” è il caso di parlare a proposito di Francesco Rosi, classe 1922, che in questo libro ha deciso di raccontare la propria vita e i segreti del suo mestiere a un altro regista, il suo amico Giuseppe Tornatore. È in famiglia, nella Napoli degli anni Trenta, “legata a doppio filo con il suo mare”, che tutto comincia: papà Sebastiano, appassionato di cinematografo, gli scatta magnifici fotoritratti, ispirandosi anche a Jackie Coogan, il protagonista del Monello di Charlie Chaplin. Poi ci sono zio Pasqualino, “capo-claque” nei teatri di rivista, e zia Margherita, che lo accompagna ogni giovedì al cinema, dove il piccolo Francesco scopre la magia dei primi film muti. Nell’immediato dopoguerra Rosi si trasferisce a Roma dove, insieme a una spiccata passione per il teatro e per la letteratura, porta con sé lo stupore per quelle sagome di ombre e luci che si agitano su uno schermo bianco. E capisce che il cinema diventerà il suo mestiere. In questo libro-intervista che è insieme autobiografia e saggio critico, Rosi ci svela una miniera di informazioni e aneddoti che riguardano i suoi film e la sua carriera di regista, senza lasciare “fuori campo” gli aspetti più intimi e privati di una vita intensa e coraggiosa.
Il dottor Divago. Storia di Pietro Notarianni, eminenza grigia del cinema italiano
Lingua: Italiano
Gli affibbiavano i soprannomi più bizzarri, come “Il tergicristalli” o “L’uomo di sfiducia” per essere stato il braccio destro del produttore Franco Cristaldi, o “Uno sguardo dal Conte” per l’amicizia con Luchino Visconti. Ma anche “Il dottor Divago” poiché infiorettava i discorsi di parentesi. E poi, “La statua di perfido”, “Il marcio su Roma”, “Il serpente d’ispezione”, per la spregiudicatezza con cui perseguiva ogni obiettivo. Ma lui, Pietro (Piter per Fellini) Notarianni, nato a Fondi, classe 1926, organizzatore cinematografico, di questi appellativi non si curava. Dopotutto gli importava una cosa sola nella vita: fare i film. E poco importava se per realizzarli bisognava ordire trame, mentire, rinnegare consolidate fratellanze, o lasciarsi cadere tra le braccia di velenosi avversari, convincerli, per poi al momento buono darsi alla fuga. Per il dottor Divago tutto era lecito pur di trasformare un buon copione in una buona pellicola. E così di film ne realizzò (o contribuì a realizzarne) circa 150: i registi facevano a gara per lavorare con lui, perché era un vero campione della mediazione tra produttore e autori. Non solo Visconti e Fellini, vma anche Antonioni, Monicelli, Germi, Rosi, Citto Maselli, Steno, Gillo Pontecorvo, Eduardo De Filippo, Elio Petri, fino a Giuseppe Tornatore. Una sola volta fu tentato di produrre in proprio un film, La caduta degli dei, e mai titolo si rivelò più funesto. Notarianni fallì, fu costretto a vendere tutto e a vivere i suoi ultimi anni in un piccolo…
La corrispondenza racconta di una studentessa universitaria che nel tempo libero fa la controfigura per la televisione e il cinema. La sua specialità sono le scene d’azione ed è abilissima nelle situazioni pericolose che, sullo schermo, si concludono fatalmente con la morte del suo doppio. Sembrerebbe una mania dettata dalla passione per il rischio, in realtà è l’ossessione in cui la ragazza s’illude di sublimare un orribile senso di colpa. Quello di ritenersi responsabile della tragica scomparsa del suo grande amore. Una ferita mai rimarginata, un conto sospeso, un’ombra che nessuna luce saprà mai dissolvere. Sarà il suo professore di astrofisica ad aiutarla nel ritrovare l’equilibrio esistenziale perduto. Il loro sarà soprattutto un rapporto epistolare tutto veicolato dalla rete, fatto di messaggi e posta elettronica, dove i confini tra virtuale e reale si fanno evanescenti, ambigui.
Nuova edizione riveduta e aggiornata del “Dizionario dei film” di Paolo Mereghetti, critico cinematografico e giornalista, inviato del “Corriere della Sera”, autore di saggi su vari registi e vincitore nel 2001 del Premio Flaiano per la critica cinematografica. Questa edizione del dizionario è stata arricchita con i film usciti negli ultimi due anni nelle sale, ma anche in videocassetta, DVD o programmati per la prima volta nei canali tematici, con nuove schede di film importanti, curiosi o solo strani usciti nei cento e più anni di vita della settima arte.
La Hollywood classica. L’impero costruito sull’etica americana (1915-1945)
Lingua: Italiano
Il cinema classico hollywoodiano, tra gli anni Venti e gli anni Sessanta, ha conquistato il mondo. Attraverso commedie e opere drammatiche, film di genere western, noir, gangster, horror, musical, è riuscito ad imporre un modello di riferimento prettamente americano, pur se valido per l’intero Occidente. Gli spettatori, di qua come di là dall’oceano, sono stati rapiti dai tanti film prodotti ad Hollywood, e soprattutto sono stati sedotti dai divi che ne sono stati protagonisti. Le innumerevoli interpretazioni riguardanti la storia del cinema classico americano non di rado sorvolano su un aspetto determinante: l’etica presente nelle singole opere. Il film hollywoodiano avrebbe trionfato per la forza della produzione e del mercato statunitensi; per la bravura di registi (molti di loro provenienti dall’Europa), attori, scrittori, sceneggiatori, musicisti e costumisti; per l’astuzia, la determinazione e il senso degli affari dei produttori; per la potenza e l’innovazione dell’apparato tecnologico e industriale. Tutto vero. Ma se Hollywood è diventata un “impero”, lo deve anche all’etica americana.
Anni vertiginosi. Il cinema europeo dalla Belle Époque all’età dei totalitarismi (1895-1945)
Lingua: Italiano
Questo studio intende segnalare alcune problematiche determinanti del cinema europeo dalle sue origini sino alla conclusione della seconda guerra mondiale. Scaturito dall’insegnamento universitario, il volume fornisce originali chiavi di interpretazione della contemporaneità e descrive l’affermazione della cinematografia a livello sociale e artistico quale prezioso indicatore dei comportamenti umani, pur in un contesto di radicale secolarizzazione. Nell’epoca del dominio universale della tecnica, quella dei fratelli Lumière fu l’ultima, straordinaria invenzione della supremazia europea sull’Occidente. Con il cinema l’arte si impegnava, in nome dell’avanguardia, a distruggere ogni barriera e indicava un grandioso “destino” di progresso per l’umanità, giunto all’apice nella Belle Époque ma destinato a frantumarsi sugli scogli di due conflitti mondiali. Con il cinema, inoltre, molti elementi dell’ideologia artistica originata dai movimenti rivoluzionari di inizio secolo finirono per confluire nel linguaggio dell’arte totalitaria, traduzione delle idee di avanguardia e arma di distruzione del nemico. Gli “anni vertiginosi” conobbero così prima il massimo splendore e poi il suicidio dell’Europa. La cinematografia percorse lo stesso cammino.
Al culmine della sua carriera Peter Brook ci consegna un’autobiografia luminosa e intensa. In queste sue memorie ricche di personaggi, di immagini, di vita, scorrono i racconti delle fortune artistiche, gli idoli e i maestri, i pensieri e la sua visione del mondo. Il testo è costruito attraverso tanti episodi-flash ordinati cronologicamente in modo che, attraverso scene vivide e brevi, il lettore possa seguire meglio l’evoluzione di una straordinaria intelligenza artistica.
Non ho mai creduto in un’unica verità, ne in quella mia ne in quella degli altri; sono convinto che tutte le scuole, tutte le teorie possono essere utili in un dato luogo e in una data epoca; ma ho scoperto che è possibile vivere soltanto se si ha un’ardente e assoluta identificazione con un punto di vista. Mano a mano che il tempo passa, che noi cambiamo, che il mondo cambia, tuttavia, gli obiettivi si modificano e il punto di vista muta. Rivedendo i saggi scritti nell’arco di molti anni e le idee esposte in tante occasioni e nelle più disparate, qui riuniti, mi colpisce ciò che in essi rimane costante. Se vogliamo, infatti, che un punto di vista sia di qualche aiuto, bisogna dedicarvisi con tutte le nostre forze, difenderlo fino alla morte.